Ipermobilità
Tutte le
società industriali si sforzano per applicare la tecnologia ai problemi
causati dalla mobilità fisica in costante aumento. Tuttavia, anche se
ottenessimo un sistema di trasporto libero da congestioni e inquinamento, e
lavorassimo tutti a casa, dovremmo comunque pagare un prezzo molto alto per la
mobilità, dice John Adams, citando esempi dalla Gran Bretagna.
Si stanno facendo degli sforzi
prodigiosi per risolvere i problemi di congestione e inquinamento causati dall’aumento della mobilità
motorizzata. Supponiamo per un momento che si arrivi ad una soluzione. Immaginate
che gli scienziati inventino qualcosa di simile ad un motore a mozione
perpetua. Immaginate inoltre che sviluppino un sistema di controllo
computerizzato del traffico che aumenti di gran lunga la portata delle
esistenti strade, binari, aeroporti. Infine, immaginate un mondo in cui i
computer sono alla portata di tutti, l’accesso ad internet ha un costo troppo
basso per essere misurato e una mobilità virtuale è promossa come
una parte importante della soluzione ai problemi causati dall’eccesso di
mobilità fisica.
Al momento, la gran parte del
tempo, del denaro e delle energie organizzative investite per trovare una
soluzione ai problemi causati dal trasporto motorizzato è rivolto a in
questi “problemi tecnici”. Se avranno successo, ci sarà un ulteriore
aumento della mobilità fisica. Motori più efficienti e più
puliti alleggeriranno le esistenti costrizioni nello sviluppo del trasporto,
rendendolo meno costoso, o togliendo le motivazioni ambientali per la sua
restrizione. Sistemi di autostrade intelligenti promettono la riduzione drastica
del costo di un viaggio, eliminando tutto il tempo attualmente perso in code.
La mobilità virtuale, da una parte capace di ridurre di gran lunga il
costo ed il tempo di un viaggio, è più probabile che serva da
stimolo a viaggiare di più fisicamente: liberando i pendolari dal loro
viaggio quotidiano, incoraggia ad unirsi all’esodo in periferia, dove la
maggior parte dei viaggi - ai negozi, a scuola, dal dottore, alla biblioteca,
alla posta o da amici - sono più lunghi e per la maggior parte impraticabili
coi mezzi pubblici.
Nel 1950, l’inglese medio
viaggiava circa 5 miglia al giorno. Ora viaggia circa 28 miglia, e si prevede
che questa cifra raddoppi entro il 2025. Le tendenze di aumento della
mobilità virtuale sono strettamente correlate con le tendenze di aumento
della mobilità fisica, ma quello di quest’ultima sono di gran lunga
maggiori. Il trasporto ed i mezzi di comunicazione consentono la “connessione”
con tutti gli altri. Ma l’aumento della velocità di questi mezzi sta
avendo delle profonde conseguenze sociali.
L’unica costrizione al
comportamento che la tecnologia non può rimuovere è il numero di
ore in un giorno. Al momento in cui ci si distribuisce più in largo,
dobbiamo distribuirci più sottilmente. Se passiamo più tempo ad
interagire con gli altri a distanza, dobbiamo passare meno tempo con quelli
più vicini a casa. Se abbiamo contatto con più persone, siamo
obbligati a dedicare minor tempo a ciascuno di essi. In società pedonali
di scala minore, società “ipomobili”, tutti conoscono tutti. In
società ipermobili, le comunità geografiche di una volta vengono rimpiazzate da
comunità non-spaziali di interesse; passiamo, fisicamente, più
tempo con persone che non conosciamo. I vantaggi della mobilità sono
ampiamente pubblicizzate. Agli svantaggi viene dedicata minore attenzione.
Molte delle caratteristiche sgradite della società ipermobile possono
essere immaginate all’istante estrapolando delle tendenze già esistenti.
La
società sarà più dispersa. Il processo
di fusione suburbana accellererà. Muoversi ad alte velocità per
lunghe distanze riduce gli spazi. Sono questi viaggi, per strada e aria, che
stanno subendo i più grandi aumenti. Camminare e andare in bici, i mezzi
di trasporto locali, democratici ed eco-compatibili, sono in forte diminuzione.
Anche con motori perpetui a inquinamento zero ci saranno delle conseguenze
ambientali negative. Aumenterà la superficie asfaltata per i parcheggi,
le ulteriori strade richieste lasceranno delle cicatrici in paesaggi millenari
e suddivideranno ulteriormente gli habitat di specie animali in pericolo. Si
dovrà trovare spazio per aeroporti nuovi e più grandi. Le parti
del mondo valorizzate per la loro tranquillità saranno ulteriormente
intaccate.
La
società sarà più polarizzata. L’aumento
della mobilità dell’inglese medio nasconde una divisione crescente tra
le persone ricche di mobilità e quelle povere di mobilità. Tutti
quelli troppo giovani o troppo anziani o in altro modo non qualificati alla
guida saranno lasciati indietro, insieme a tutti quelli troppo poveri per
permettersi macchine o biglietti aerei. Essi diventeranno cittadini di seconda
classe, dipendenti per la loro mobilità su quel che sarà rimasto
del trasporto pubblico o sulla buona volontà di un possessore d’auto.
Mentre il mondo fugge quest’ultima ritirandosi nelle periferie, la maggior
parte delle distanze diventeranno troppo lunghe per essere fatte a piedi o in
bicicletta. Nonostante un incremento di dieci volte del parco macchine mondiale
dal 1950 (fino a 500 milioni), il numero di persone che non possiede
un’automobile è più che raddoppiato (fino a 5,5 miliardi, per
l’esplosione demografica). Inoltre, nonostante l’aumento molto più
consistente dei viaggi aerei nello stesso periodo, il numero di persone al
mondo che non hanno mai volato è anch’esso aumentato.
Il mondo
sarà più pericoloso per coloro che non sono in macchina. Ci
sarà più metallo (o fibra di carbonio) in movimento. Il fatto che
ora vengano uccisi 1/3 dei bambini sulle strade rispetto al 1922, quando c’era
pochissimo traffico e un limite di 30 Km/h, non vuol dire che adesso le strade
sono tre volte più sicure per i bambini che vi giocano; sono diventate
così pericolose che ai bambini non viene più permesso di
giocarvi. La riduzione dei pedoni e dei ciclisti continuerà con l’aumento
del traffico, e un minor numero di persone cercheranno di attraversare la
strada. Questa è una delle ragioni per cui si conosce sempre meno chi
abita dell’altro lato della via.
La
libertà dei bambini sarà ulteriormente limitata dalle paure dei
genitori e la socializzazione dei bambini che giocano in strada sparirà.
In Inghilterra solo nel 1971, l’80% dei bambini di 7/8 anni andavano a scuola
da soli, non accompagnati da un adulto. Ora non lo fa quasi nessuno; il governo
avverte che è irresponsabile lasciare che i bambini escano di casa non
accompagnati sotto l’età di 12 anni. I bambini raramente riescono a
mischiare indipendentemente con i loro coetanei , imparando ad arrangiarsi
senza la supervisione dei genitori - un’esperienza essenziale ai processi di
socializzazione.
Le persone
saranno più grasse e meno in forma. I bambini con
“genitori-chauffeur” non hanno più l’abitudine di camminare o andare in
bici a scuola, dagli amici o per altre attività. Con la scomparsa del
camminare e dell’uso della bici per scopi funzionali, abbiamo meno esercizio
all’interno della routine giornaliera, anche se questa tendenza pare compensata
dall’aumento nel numero di persone che raggiungono in macchina delle palestre
per correre su dei nastri.
Il mondo
sarà culturalmente meno vario. La McCultura sarà più
avanzata. Tom Wolfe descrive il fenomeno nel suo romanzo “A man in full”:
“...l’unico modo di renderti conto che stavi lasciando una comunità ed
approdandone un’altra era quando gli ipermercati iniziavano a ripetersi e
vedevi un’altra Esselunga, un’altra Ipercoop, un’altra Superal, un’altra
Conad...” Il turismo è l’industria più in crescita al mondo. Gli
scrittori di viaggi spingono i loro lettori ad andare a sciupare le ultime aree
intatte rimaste sulla terra, prima che altri li battino sul tempo. Il
marciapiede mobile che passa davanti ai Crown Jewels nella Torre di Londra
è solo un esempio dell’efficienza fordista che caratterizza il turismo
di massa.
Il mondo
sarà più anonimo e meno conviviale. Meno
persone conosceranno i loro vicini. Le comunità organizzate per la
vigilanza reciproca (Gated Communities, Neighbourhood Watch), tentativi di
ricreare quello che una volta accadeva naturalmente, sono sintomatici della
nuova anonimia. Anche quando vivono fisicamente vicini, i ricchi dinamici e i
poveri statici vivono in mondi diversi. I poveri, per la loro mancanza di
mobilità, sono confinati in prigioni dalle mura invisibili. Sono
continuamente sedotti e derisi (al contrario di quelli confinati in prigioni
con celle e muri veri) dalla libertà e dal consumo appariscente dei
benestanti; Possono sentire i ricchi mentre volano sopra le loro teste, mentre
guidano nelle autostrade che attraversano i ghetti, mentre appaiono in
televisione, godendo di privilegi che rimangono fuori portata. Per i
benestanti, i poveri sono spesso invisibili, perchè tendono a vedere il
mondo ad una risoluzione più bassa per l’altezza e la velocità a
cui stanno viaggiando.
La
società sarà più soggetta a criminalità. La
crescente antitesi tra avere e non-avere genererà più paura della
criminalità. Come per il pericolo sulle strade, questo non si rileva
facilmente con le statistiche. Le case vengono meglio difese con porte
più spesse, lucchetti più forti e sistemi di allarme più
sofisticati. Le persone, e specialmente le donne e i bambini, si ritirano dalle
strade e non usano più i mezzi pubblici perché si sentono
minacciati; un numero crescente di autisti viaggia con gli sportelli chiusi da
dentro. La polizia diventa più intrusiva, con un uso sempre maggiore di
telecamere a circuito chiuso e database informatici. Le forze dell’ordine di
quartiere che conoscono il proprio vicinato sono sostituite da telecamere
intelligenti che leggono targhe e riconoscono volti. La vigilanza high-tech,
temuta dai libertari civili, è un costo inevitabile
dell’ipermobilità. L’alternativa è una vigilanza inefficace. Se i
criminali fanno uso dei moderni mezzi di trasporto, fisici ed elettronici, e la
polizia non sta al passo, quest’ultima risulterà impotente.
La
società sarà meno democratica. Gli individui avranno meno
influenza sulle decisioni che governano la loro vita. Espandendoci sempre
più in largo e sempre più sottilmente nelle nostre
attività sociali ed economiche, l’estensione geografica
dell’autorità politica deve espandersi per rimanere in pari con problemi
sempre più grandi. Il potere politico migra su per la scala gerarchica
dalle autorità locali a Whitehall e Westminster e sempre di più a
Bruxelles e a istituzioni non politicamente responsabili come la Banca Mondiale
e il WTO. Da nessuna delle due parti degli episodi di Seattle, che vedeva il
WTO da una parte e diversi gruppi di manifestanti dall’altra, c’erano
istituzioni democraticamente responsabili: Greenpeace e Amici della Terra non
sono democrazie. La fiducia in queste istituzioni diminuisce mentre le loro
argomentazioni diventano sempre più difficili da distinguere da
chiacchiere senza sostanza. Nel filone della fantascienza che contempla un
futuro nel quale la distanza è stata conquistata, non c’è un solo
esempio di democrazia.
Le tendenze che creano il mondo
descritto sopra non stanno incontrando nessuna resistenza effettiva. Al
contrario, sono incoraggiate da governi dappertutto. In Inghilterra la
pianificazione degli aeroporti continua ad essere basata sul principio di
“prevedi e provvedi” e viene previsto un grosso aumento. I pianificatori si
assicurano a vicenda sul potenziale sviluppo della loro industria con
l’argomento che la maggior parte delle persone nel mondo non hanno mai
viaggiato in aereo. L’idea che questa crescita possa essere limitata dal loro
insuccesso nel provvedere una sufficiente capacità aeroportuale
è, per loro, impensabile.
Il governo inglese ha
abbandonato la pretesa di ridurre la propria dipendenza nazionale
sull’automobile. Gus Macdondald, il nuovo ministro dei trasporti, è
dichiaratamente in favore di un aumento in questo senso: “Se le auto sono
più a buon mercato e più persone ne vogliono possedere, questo
non è un problema.” Egli si piazza con forza nel campo delle soluzioni
tecniche: “Motori più puliti sono il futuro”. John Redwood, ex-portavoce
dei trasporti del partito conservatore, per non perdersi il voto dei motoristi,
ha incoraggiato la costruzione di più strade “per aggirare paesi
ecosensibili, villaggi o luoghi di interesse paesaggistico”, dimenticando che
difficile trovare aree “insensibili” da questo punto di vista dove costruire.
Quale sarebbe la caratteristica
principale di una direttiva con l’obiettivo di aumentare la dipendenza
sull’automobile? Incoraggerebbe la gente a vivere fuori città, in centri
con una densità troppo bassa per giustificare il trasporto pubblico. Nel
governo precedente questa direttiva ebbe un incredibile successo: uno studio
del Town and Country Planning Association riporta la perdita di 500.000 posti
di lavoro urbani e un aumento di posti in aree a bassa densità di 1,7
milioni tra il 1981 e il 1996.
Una direttiva che avesse lo
scopo di ridurre la dipendenza sull’auto cercherebbe di limitare il traffico
nelle aree dove esso è maggiormente in crescita: non in zone urbane
congestionate, dove si è già stabilizzata, ma nelle periferie ed
oltre. Dei consulenti privati ora offrono i loro servigi per la rilocazione
fuori città. Questa equivalente free-enterprise della vecchia Location
Offices Buroeau è una risposta di mercato agli addizionali incentivi
separatisti ora messi a punto dal governo Labour: strade urbane a pagamento e
parcheggi di lavoro a pagamento. Il vice-primo ministro John Prescott insiste
che non è anti-auto e per dimostrarlo possiede due Jaguar. Egli, come il
suo ministro dei trasporti, è felice che più persone abbiano
un’auto, ma ogni tanto dichiara che dovrebbero lascarle parcheggiate più
spesso. Forse dovrebbe sostituire il suo programma di costruzione di strade con
un programma di costruzione di parcheggi.
La vendita di auto in Gran
Bretagna per il 1999 è stimata a 2,2 milioni - se parcheggiati una
davanti all’altra, formerebbero una coda di più di 8000 miglia. Quando
la gente compra un’auto cerca dove poterla guidare e parcheggiare: una cosa
sempre più difficile nelle città inglesi. Se il parco macchine
nazionale continua ad aumentare come predetto, l’esodo dalle città
continuerà e la dipendenza sull’auto aumenterà. D’altro canto
delle alternative all’auto ce le possiamo permettere. Non c’è
scarsità di fondi. Una nuova auto costa in media 12.500 sterline, per un
totale di 27,5 miliardi di sterline. Nei passati 5 anni sono stati venduti 10
milioni di auto nuove. La sfida è quella di deviare i vasti fiumi di
denaro privato disponibili per il trasporto in dei canali più benigni.
A peggiorare la situazione
c’è la promozione entusiasta di internet. L’idea che questo
aiuterà a risolvere i problemi del trasporto, ovviando al bisogno del
trasporto fisico, si basa sulla disgiunzione tra le tendenze del trasporto
fisico e virtuale, per il quale non ci sono precedenti. Storicamente le
tendenze di crescita dei due tipi di mobilità sono state strettamente
correlate: le società con maggiore mobilità fisica sono quelle
che fanno maggiore uso di telecomunicazioni.
I promotori delle I.T. come
parte della soluzione ai problemi di trasporto, dicono che i nuovi mezzi
ravviveranno le comunità riportandole a misura d’uomo e permettendo a
più persone di lavorare da casa, di passarvi più tempo e di
conoscere meglio i vicini; forse. Ma questo presume che la gente si
accontenterà di passare un un periodo di tempo sempre minore nel mondo
reale che vivranno direttamente, e un periodo di tempo crescente in
comunità virtuali che vivranno elettronicamente. Si presume che la gente
non vorrà incontrarsi e dare la mano ad amici che incontra su internet;
che non cercherà un’esperienza diretta delle diverse culture che ha
conosciuto indirettamente (elettronicamente); e che non desidererà
prendere un caffé in compagnia diretta dei colleghi. Si immaginano molte
cose per le quali per ora non c’è molta evidenza.
Lasciate che vi dia una prova di
evidenza scoraggiante, seppure aneddotica, da un incontro all’aeroporto di
Vancouver, nell’attesa del volo. Iniziai a chiacchierare con la persona accanto
a me. Stava aspettando un volo per Toronto per una partita di bridge con una
persona di Toronto, una della Scozia e una di San Francisco. Si erano
incontrati e avevano giocato su internet; ora desideravano una partita vera.
In “Chi ha ucciso l’America
civile”, Robert Putnam (Prospect, marzo 1996) commenta il declino della vita
sociale americana e conclude, dopo aver considerato varie alternative, che la
colpa principale è della televisione. Egli osserva che “la rivoluzione
elettronica nella tecnologia della comunicazione è la prima grande
innovazione tecnologica da secoli che ha avuto l’effetto di decentralizzare e
frammentare la società e la cultura”. Curiosamente, la sua lista di
potenziali colpevoli non include la macchina e l’aeroplano, e l’influenza
decentralizzante e frammentatrice per le quali sono responsabili. Una diagnosi
più convincente dividerebbe più equamente la colpa tra le
rivoluzioni nel trasporto e nelle comunicazioni.
Storicamente, la maggior parte
delle persone nella maggior parte dei paesi hanno vissuto delle vite pedonali.
La loro distribuzione e i loro viaggi sono stati quindi assai limitati. I
veicoli esistenti usavano l’energia umana, animale o quella del vento. I ricchi
avevano una maggiore mobilità dei poveri, ma nessuno dei due ne aveva
molta. Storie di tappeti volanti, stivali delle sette leghe, carrozze alate e
simili attestano il desiderio di una maggiore mobilità, ma in età
tecnologicamente poco produttive la gente si rassegnava che queste meraviglie
rimanessero una prerogativa degli dei. Infatti, la leggenda di Icaro suggerisce
che l’idea che la possibilità dei mortali di ottenere questi mezzi di
trasporto sia empia.
A un tempo più o meno
coincidente con l’inizio della rivoluzione industriale in Inghilterra, ci fu
un’epoca di incredibili riduzioni nei costi del trasporto e un assai più
incredibile aumento nella loro velocità e comodità, e nel numero
di persone che li usavano. Le imprese degli dei sono state sorpassate. Il
Concorde può volare più velocemente del carro fiammante di
Apollo, e gli sviluppi nelle telecomunicazioni hanno creato una capacità
di scambio di informazioni che supera di gran lunga qualsiasi impresa mai
portata a termine da Mercurio. La storia della comunicazione e del trasporto di
questo periodo è quasi sempre raccontata come una storia del progresso
in una scia di innovazione tecnologica. Qualsiasi problema associato a questo
progresso è stato visto come un effetto collaterale, da rimediare con
altra tecnologia. L’ipomobilità era male. Più mobilità era
bene. E l’ipermobilità? E’ forse possibile avere troppo di questa buona
cosa? Questa questione non è stata considerata seriamente dagli storici
del trasporto, né dai progettisti
e dai politici interessati al suo futuro. Con un solo accenno al
problema si rischia di essere etichettati come nemici della libertà di
scelta.
Questo rischio può essere
ridotto se si pone la domanda in maniera diversa. Il “problema del trasporto”
può essere mostrato con efficacia ponendo tre domande in tre questionari
indipendenti. La prima domanda viene chiesta con frequenza: vorreste voi una
macchina, ore di volo illimitate e il livello di accesso alla comunicazione
elettronica pari a quello di Bill Gates? Con piccole varianti questa domanda
viene chiesta frequentemente nei sondaggi. A livello mondiale, la risposta
è in maggioranza un SI’. Questo è il test implicito che regola il
progetto politico per la pianificazione dei trasporti quasi dappertutto. Rispondendo a questa domanda, la gente immagina
il mondo come è adesso, ma con la capacità di avere accesso a un
maggior numero di opportunità di cui godono i ricchi. Molti politici
credono che sarebbe un suicidio politico resistere a tali aspirazioni. Sarebbe
anche visibilmente ingiusto, aggiungono spesso, tirare via la scala da sotto i
piedi di chi già gode di un alto livello di mobilità.
Ma c’è una seconda
domanda, che non viene mai formulata. Vorresti vivere in un mondo che
risulterebbe se questo desiderio fosse concesso a tutti? Per aiutare a
rispondere si potrebbe riformulare la domanda: vorresti vivere in un mondo che
è una serra di gas di scarico, pericolosa, brutta, squallida, oppressa
dalla criminalità, alienata, anonima, non-democratica, socialmente
polarizzata? La “serra di gas di scarico” è un optional: ho un forte
sospetto che la tecnologia non si terrà al passo con l’aumento del
traffico e che l’ambiente fisico si deteriorerà mentre aumenta il
livello di mobilità, ma anche
limitandoci alle sole conseguenze sociali dell’ipermobilità si
dovrebbe arrivare ad una risposta negativa. Questa domanda chiede,
effettivamente: vorresti subire le conseguenze dell’attuale progresso? Mentre
questi risultati sono evidenziati da più persone, molti di più
sono sicuri di non volerle. Ma la risposta politica è stata deludente.
Il meglio che hanno potuto ottenere anche stati progressisti come Danimarca e
Olanda è un rallentamento della crescita del traffico nelle aree urbane,
mentre poco viene fatto per la crescita del traffico nelle periferie e nelle aree
rurali, e non viene fatto assolutamente niente per fermare la rapida crescita
del trasporto aereo.
Il nuovo ministro dei trasporti britannico descrive la continua crescita del traffico come “inevitabile” - ignorando allegramente il fatto che quelli sugli scalini più bassi della scala sociale vengono ulteriormente spinti verso l’esclusione. La difficoltà politica sembra essere che il problema, quando presentato nella forma della seconda domanda, implica il bisogno di un severo, grigio, virtuoso ascetismo per salvare il pianeta. Questa non è una piattaforma politica dalla quale molti politici sono disposti a lanciare una campagna.
Ma c’è una terza domanda,
più positiva; l’esatto contrario della seconda. Vorresti vivere in un
mondo più pulito, più sicuro, più salutare, più
amichevole, più bello, più democratico, più sostenibile,
nel quale conosci i tuoi vicini ed è possibile per i tuoi bambini di
giocare in strada? Se questi premi potessero essere raccolti in un pacchetto
convincente e abbordabile, si potrebbe aspettare che molti lo votino -
specialmente se come alternativa fossero viste le conseguenze della seconda
domanda.
Per la maggior parte della
gente, la possibilità di realizzare le aspirazioni raccolte nella prima
domanda stanno svanendo. Ma fino a quando continua ad essere il principale
obiettivo dei pianificatori dei trasporti e dei politici, il triste scenario
della seconda domanda sarà più probabile. Comunque, al contrario
delle dichiarazioni del ministro dei trasporti, l’aumento del traffico non
è inevitabile. La marea del traffico non è un’inarrestabile forza
della natura come quella di un oceano. E’ la conseguenza di una miriade di
decisioni umane, piccole e grandi: di decisioni governative su tasse e
finanziamenti, sulla pianificazione del territorio, sulla costruzione di strade
e aeroporti, e di risposte individuali a queste decisioni. E’ la conseguenza di
una visione radicata del progresso che nega la realtà delle cose.
La prima domanda è come
chiedere a un goloso se vorrebbe quantità illimitate del suo cibo e
della sua bevanda preferiti. La risposta è prevedibile. La seconda
domanda avverte il goloso delle conseguenze di un’indulgenza senza limiti. Ci
sono soluzioni, costose e high-tech, a queste conseguenze: liposoluzione,
Olestra (il grasso-non-grasso che scivola via) e chirurgia bypass. Ma mangiare
meno e andare a lavoro a piedi o in bicicletta sono probabilmente delle
soluzioni più appropriate, più economiche e portatrici di un
maggiore benessere e autostima.
Ottenere la società descritta
nella terza domanda, che appare impossibile alla maggioranza dei politici,
è in principio abbastastanza semplice, richiede una riformulazione di
priorità. Invece di continuare a sacrificare l’ambiente fisico e sociale
per una maggiore mobilità, richiede una valorizzazione del locale al di
sopra di alcuni dei benifici della mobilità, per proteggere e
incoraggiare quello a cui diamo valore nella natura e nelle relazioni con i
nostri amici e i nostri vicini. Mettere in dubbio i benefici dell’ipermobilità
non vuol dire negare una libertà di scelta, significa chiedere alla
gente che cosa vuole veramente, e di informarla con chiarezza che le loro
decisioni hanno delle conseguenze che vanno al di là dei primari oggetti
dei loro desideri.
JOHN ADAMS
è professore di geografia all’University College London. Questo articolo
è basato su uno pezzo che Adams scrisse per il OECD, dal titolo “Le
implicazioni sociali dell’ipermobilità” (è disponibile su
<www.geog.ucl.ac.uk/~jadams/publish.htm>) Questa
versione è stata pubblicata su “Prospect”, Londra, Marzo 2000. La
traduzione dall’inglese è di Nicholas Bawtree (alberoinquieto@yahoo.com)